Perché Tavernello è il vino più venduto d’Italia? (E perché in realtà non dovrebbe essere comparato alle etichette più prestigiose).
Nel mondo del vino italiano, Tavernello occupa una posizione peculiare. Non è un’etichetta prestigiosa, né vanta denominazioni altisonanti. Eppure, da decenni, è presente sulle tavole di milioni di famiglie, conquistando un primato difficile da ignorare: è il vino più venduto in Italia (ed è un dato notevole, in un Paese che consuma 10 milioni di ettolitri di vino all’anno – sebbene il numero sia in costante contrazione).
Tutto ha inizio nel 1968, quando la cooperativa romagnola Caviro decide di introdurre sul mercato un vino confezionato in brik, all’epoca una vera innovazione. Il cartone si impone rapidamente come simbolo di praticità e convenienza, rivoluzionando le abitudini di consumo. Il prodotto non mira all’eccellenza, ma alla quotidianità: un vino semplice, pensato per accompagnare i pasti di ogni giorno e non soltanto per le grandi occasioni. Questo approccio, unito a una distribuzione capillare (nella grande e nella piccola distribuzione) e a un prezzo accessibile, ne fa un alleato familiare per milioni di italiani.
A rendere Tavernello così radicato nella cultura popolare ha contribuito anche una comunicazione costante e martellante. Per anni, il marchio è stato protagonista di spot televisivi, affissioni, slogan memorabili (ricordate “Non sa mai di tappo”?). Questo lavoro sul piano della comunicazione ha inciso profondamente nell’immaginario collettivo, trasformando Tavernello non solo in un vino, ma in un’abitudine. In molte famiglie non esiste un’alternativa: il vino è “quello nel cartone”, e non serve cercarne un altro.
Proprio questa onnipresenza, però, ha generato un effetto collaterale: il pregiudizio. Tavernello è spesso guardato con sospetto dagli appassionati e dai presunti intenditori (che nel settore vinicolo abbonando), considerato un prodotto industriale, privo di legame con il territorio. Il contenitore in cartone viene percepito come simbolo di bassa qualità, mentre il prezzo contenuto alimenta l’idea che si tratti di un vino “di serie B”. Si dimentica, però, che la sua funzione non è competere con le grandi cantine, come sottolineato in più occasioni dai rappresentanti della Caviro, che sottolineano come Tavernello non nasca per essere un vino da intenditori, ma per accompagnare la tavola quotidiana.
Questo intento si riflette in ogni fase della produzione: le uve provengono da diverse regioni italiane, selezionate per garantire un profilo riconoscibile e la vinificazione avviene con tecnologie moderne. Il risultato è un vino che, pur non brillando per complessità, mantiene una coerenza gustativa apprezzata da un vasto pubblico che sa quello che beve.
Di fatto Tavernello ha ridefinito l’idea stessa di vino da tavola. Amato da molti e criticato da tanti altri, rimane un simbolo dell’identità enologica più popolare del Paese. Forse non entrerà nei calici dei sommelier, ma difficilmente sparirà dalle tavole degli italiani. E in fondo, è proprio lì che ha sempre voluto stare.
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